"Le Grazie", cui Foscolo lavorò soprattutto nel
1812 e '13, ebbe una lavorazione piuttosto difficile, interrotta prima
dal ritorno dell'autore a Milano il '13, poi dalla sconfitta francese e
dunque dal suo esilio, per cui l'opera restò incompiuta e
comunque anche quanto aveva già scritto risulta piuttosto frammentario
e non definitivo.
Composto da tre inni correlati fra loro e ispirati alle tre dee Venere,
Vesta e Pallade, con un richiamo evidente alla scultura neo-classica
di Antonio Canova cui è dedicata l'opera,
il progetto, inizialmente inteso come un unico lungo inno, narra nella
prima parte intitolata a Venere, l'apparizione
nel mar Egeo delle tre Grazie, le quali riescono a comunicare agli uomini
il valore della Bellezza, allontanandoli dallo stato primitivo: e qui v'è
l'allegoria della nascita della civiltà greca classica. Il secondo
inno, a Vesta, si racconta di un rito
effettuato nella Firenza rinascimentale da tre donne, rappresentanti le
città italiane di Firenze, Bologna e Milano, in onore delle Grazie:
ciò sta a significare il passaggio della cultura classica in Italia.
Il terzo inno invece, dedicato a Pallade,
il più indefinito e incompiuto, presenta la problematica dell'attuale
perdita di valore della Bellezza nella società civile, che dunque
si imbarbarisce provocando la fuga delle Grazie ad Atlantide: ma Pallade
convince le dee a tornare fra gli uomini celandosi il volto con un velo (passo vv.153-207),
perchè non le vedano gli indegni.
Lo stile è dotto, letterario, al punto da sembrare calcolato piuttosto che sentito dal poeta, esprimendo la nostalgia di un atteso ma mai avvenuto
riscatto della civiltà italiana. |
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