I  
Pari al numero lor volino gl'inni  
alle vergini sante, armonïosi  
del peregrino suono uno e diverso  
di tre favelle. Intento odi, Canova;  
ch'io mi veggio d'intorno errar l'incenso, 5
qual si spandea sull'are a' versi arcani  
d'Anfïone: presente ecco il nitrito  
de' corsieri dircèi; benché Ippocrene  
li dissetasse, e li pascea dell'aure  
Eolo, e prenunzia un'aquila volava, 10
e de' suoi freni li adornava il Sole,  
pur que' vaganti Pindaro contenne  
presso il Cefiso, ed adorò le Grazie.  
Fanciulle, udite, udite: un lazio Carme  
vien danzando imenei dall'isoletta 15
di Sirmïone per l'argenteo Garda  
sonante con altera onda marina,  
da che le nozze di Pelèo, cantate  
nella reggia del mar, l'aureo Catullo  
al suo Garda cantò. Sacri poeti, 20
a me date voi l'arte, a me de' vostri  
idïomi gli spirti, e co' toscani  
modi seguaci adornerò più ardito  
le note istorie, e quelle onde a me solo  
siete cortesi allor che dagli antiqui 25
sepolcri m'apparite, illuminando  
d'elisia luce i solitari campi  
ove l'errante Fantasia mi porta  
a discernere il vero. Or ne preceda  
Clio, la più casta delle Muse, e chiami 30
consolatrici sue meco le Grazie.  
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  
Come se a' raggi d'Espero amorosi  
fuor d'una mìrtea macchia escon secrete  
le tortorelle mormorando a' baci,  
guata dall'ombra l'upupa e sen duole, 35
fuggono quelle impaurite al bosco;  
così le Grazie si fuggian tremando.  
Fu lor ventura che Minerva allora  
risaliva que' balzi, al bellicoso  
Scita togliendo il nume suo. Di stragi 40
su' canuti, e di vergini rapite,  
stolto! il trionfo profanò che in guerra  
giusta il favore della Dea gli porse.  
Delle Grazie s'avvide e della fuga  
immantinente, e dietro ad un'opaca 45
rupe il cocchio lasciava, e le sue quattro  
leonine poledre; ivi lo scudo  
depose, e la fatale ègida, e l'elmo,  
e inerme agli occhi delle Grazie apparve.  
- Scendete, disse, o vergini, scendete 50
al mar, e venerate ivi la Madre;  
e dolce un lutto per Orfeo nel core  
vi manderà, che obblierete il vostro  
terror, tanto ch'io rieda a offrirvi un dono,  
né più vi offenda Amore. - E tosto al corso 55
diè la quadriga, e la rattenne a un'alta  
reggia che al par d'Atene ebbe già cara;  
or questa sola ha in pregio, or quando i Fati  
non lasciano ad Atene altro che il nome.  
   
II  
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  
E a me un avviso Eufrosine, cantando, 60
porge, un avviso che da Febo un giorno  
sotto le palme di Cirene apprese.  
Innamorato, nel pierio fonte  
guardò Tiresia giovinetto i fulvi  
capei di Palla, liberi dall'elmo, 65
coprir le rosee disarmate spalle;  
sentì l'aura celeste, e mirò l'onde  
lambir a gara della Diva il piede,  
e spruzzar riverenti e paurose  
la sudata cervice e il casto petto, 70
che i lunghi crin discorrenti dal collo  
coprian, siccome li moveano l'aure.  
Ma né più rimirò dalle natìe  
cime eliconie il cocchio aureo del Sole,  
né per la coronèa selva di pioppi 75
guidò a' ludi i garzoni, o alle carole  
l'anfïonie fanciulle; e i capri e i cervi  
tenean securi le beote valli,  
chè non più il dardo suo dritto fischiava,  
però che la divina ira di Palla 80
al cacciator col cenno onnipotente  
avvinse i lumi di perpetua notte.  
Tal destino è ne' fati. Ahi! senza pianto  
l'uomo non vede la beltà celeste.  
   
III  
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  
Isola è in mezzo all'oceàn, là dove 85
sorge più curvo agli astri; immensa terra,  
come è grido vetusto, un dì beata  
d'eterne messi e di mortali altrice.  
Invan la chiede all'onde oggi il nocchiero,  
or i nostri invocando or dell'avverso 90
polo gli astri; e se illuso è dal desio,  
mira albeggiar i suoi monti da lunge,  
e affretta i venti, e per l'antica fama  
Atlantide l'appella. Ma da Febo  
detta è Palladio Ciel, che da la santa 95
Palla Minerva agli abitanti irata,  
cui il ricco suolo e gl'imenei lascivi  
fean pigri all'arti e sconoscenti a Giove,  
dentro l'Asia gli espulse, e l'aurea terra  
cinse di ciel pervio soltanto ai Numi. 100
Onde, qualvolta per desìo di stragi  
si fan guerra i mortali, e alla divina  
libertà danno impuri ostie di sangue;  
o danno a prezzo anima e brandi all'ire  
di tiranni stranieri, o a fera impresa 105
seguon avido re che ad innocenti  
popoli appresta ceppi e lutto a' suoi;  
allor concede le Gorgòni a Marte  
Pallade, e sola tien l'asta paterna  
con che i regi precorre alla difesa 110
delle leggi e dell'are, e per cui splende  
a' magnanimi eroi sacro il trionfo.  
Poi nell'isola sua fugge Minerva,  
e tutte Dee minori, a cui diè giove  
d'esserle care alunne, a ogni gentile 115
studio ammaestra: e quivi casti i balli,  
quivi son puri i canti, e senza brina  
i fiori e verdi i prati, ed aureo il giorno  
sempre, e stellate e limpide le notti.  
Chiamò d'intorno a sé le Dive, e a tutte 120
compartì l'opre del promesso dono  
alle timide Grazie. Ognuna intenta  
agl'imperî correa: Pallade in mezzo  
con le azzurre pupille amabilmente  
signoreggiava il suo virgineo coro. 125
Attenuando i rai aurei del sole,  
volgeano i fusi nitidi tre nude  
Ore, e del velo distendean l'ordito.  
Venner le Parche di purpurei pepli  
velate e il crin di quercia; e di più trame 130
raggianti, adamantine, al par de l'etre  
e fluide e pervie e intatte mai da Morte,  
trame onde filan degli Dei la vita,  
le tre presàghe riempiean la spola.  
Né men dell'altre innamorata, all'opra 135
Iri scese fra' Zefiri; e per l'alto  
le vaganti accogliea lucide nubi  
guareggianti di tinte, e sul telaio  
pioveale a Flora a effigïar quel velo;  
e più tinte assumean riso e fragranza 140
e mille volti dalla man di Flora.  
E tu, Psiche, sedevi, e spesso in core,  
senz'aprir labbro, ridicendo: "Ahi, quante  
gioie promette, e manda pianto Amore!",  
raddensavi col pettine la tela. 145
E allor faconde di Talia le corde,  
e Tersicore Dea, che a te dintorno  
fea tripudio di ballo e ti guardava,  
eran conforto a' tuoi pensieri e a l'opra.  
Correa limpido insiem d'Èrato il canto 150
da que' suoni guidato; e come il canto  
Flora intendeva, e sì pingea con l'ago.  
Mesci, odorosa Dea, rosee le fila; -Velo
e nel mezzo del velo ardita balli,  
canti fra 'l coro delle sue speranze 155
Giovinezza: percote a spessi tocchi  
antico un plettro il Tempo; e la danzante  
discende un clivo onde nessun risale.  
Le Grazie a' piedi suoi destano fiori,  
a fiorir sue ghirlande: e quando il biondo 160
crin t'abbandoni e perderai 'l tuo nome,  
vivran que' fiori, o Giovinezza, e intorno  
l'urna funerea spireranno odore.  
Or mesci, amabil Dea, nivee le fila;  
e ad un lato del velo Espero sorga 165
dal lavor di tue dita; escono errando  
fra l'ombre e i raggi fuor d'un mìrteo bosco  
due tortorelle mormorando ai baci;  
mirale occulto un rosignuol, e ascolta  
silenzïoso, e poi canta imenei: 170
fuggono quelle vereconde al bosco.  
Mesci, madre dei fior, lauri alle fila;  
e sul contrario lato erri co' specchi  
dell'alba il sogno; e mandi a le pupille  
sopite del guerrier miseri i volti 175
de la madre e del padre allor che all'are  
recan lagrime e voti; e quei si desta,  
e i prigionieri suoi guarda e sospira.  
Mesci, o Flora gentile, oro alle fila;  
e il destro lembo istorïato esulti 180
d'un festante convito: il Genio in volta  
prime coroni agli esuli le tazze.  
Or libera è la gioia, ilare il biasmo,  
e candida è la lode. A parte siede  
bello il Silenzio arguto in viso e accenna 185
che non volino i detti oltre le soglie.  
Mesci cerulee, Dea, mesci le fila;  
e pinta il lembo estremo abbia una donna  
che con l'ombre e i silenzi unica veglia;  
nutre una lampa su la culla, e teme 190
non i vagiti del suo primo infante  
sien presagi di morte; e in quell'errore  
non manda a tutto il cielo altro che pianti.  
Beata! ancor non sa quanto agl'infanti  
provido è il sonno eterno, e que' vagiti 195
presagi son di dolorosa vita.  
Come d'Èrato al canto ebbe perfetti  
Flora i trapunti, ghirlandò l'Aurora  
gli aerei fluttuanti orli del velo  
d'ignote rose a noi; sol la fragranza, 200
se vicino è un Iddio, scende alla terra.  
E fra l'altre immortali ultima venne  
rugiadosa la bionda Ebe, costretti  
in mille nodi fra le perle i crini,  
silenzïosa, e l'anfora converse: 205
e dell'altre la vaga opra fatale  
rorò d'ambrosia; e fu quel velo eterno. Velo-
Poi su le tre di Citerea Gemelle  
tutte le Dive il diffondeano; ed elle  
fra le fiamme d'amore invano intatte 210
a rallegrar la terra; e sì velate  
apparian come pria vergini nude.  
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  
E il velo delle Dee manda improvviso  
un suon, qual di lontana arpa, che scorre  
sopra i vanni de' Zeffiri soave; 215
qual venìa dall'Egeo per l'isolette  
un'ignota armonia, poi che al reciso  
capo e al bel crin d'Orfeo la vaga lira  
annodaro scagliandola nell'onde  
le delire Baccanti; e sospirando 220
con l'Ionio propinquo il sacro Egeo  
quell'armonia serbava, e l'isolette  
stupefatte l'udiro e i continenti.  
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  
Addio Grazie: son vostri, e non verranno  
soli quest'inni a voi, né il vago rito 225
obblieremo di Firenze ai poggi  
quando ritorni April. L'arpa dorata  
di novello concento adorneranno,  
disegneran più amabili carole  
e più beato manderanno il carme 230
le tre avvenenti ancelle vostre all'ara:  
e il fonte, e la frondosa ara e i cipressi,  
e i serti e i favi vi fien sacri, e i cigni  
votivi, e allegri i giovanili canti  
e i sospir delle Ninfe. Intanto, o belle 235
o dell'arcano vergini custodi  
celesti, un voto del mio core udite.  
Date candidi giorni a lei che sola,  
da che più lieti mi fioriano gli anni,  
m'arse divina d'immortale amore. 240
Sola vive al cor mio cura soave,  
sola e secreta spargerà le chiome  
sovra il sepolcro mio, quando lontano  
non prescrivano i fati anche il sepolcro.  
Vaga e felice i balli e le fanciulle 245
di nera treccia insigni e di sen colmo,  
sul molle clivo di Brianza un giorno  
guidar la vidi; oggi le vesti allegre  
obliò lenta e il suo vedovo coro.  
E se alla Luna e all'etere stellato 250
più azzurro il scintillante Èupili ondeggia,  
il guarda avvolta in lungo velo, e plora  
col rosignuol, finché l'Aurora il chiami  
a men soave tacito lamento.  
A lei da presso il piè volgete, o Grazie, 255
e nel mirarvi, o Dee, tornino i grandi  
occhi fatali al lor natìo sorriso.