La trama racconta di Jacopo Ortis, un giovane veneziano di buona famiglia, studente e patriota di ideali giacobini, costretto a lasciare la città dopo che Venezia è stata ceduta all'Austria col trattato di Campoformio firmato da Napoleone e ratificato il 17 ottobre 1798, per scampare alle persecuzioni politiche: cerca così rifugio in una sua proprietà di campagna sui Colli Euganei, dove conosce la famiglia del Signor T., padre di Teresa, la fanciulla di cui si innamora, pur sapendo che la ragazza è stata promessa sposa dal padre, contro la volontà della madre, al marchese Odoardo, un ricco possidente, dedito più agli affari che agli affetti familiari. Teresa ricambia il sentimento per Jacopo, ma nello stesso tempo non può sottrarsi al matrimonio già combinato. 
Il Signor T. viene a sapere dell'amore fra i due, e prova perciò a persuadere Jacopo ad allontanarsi dai Colli Euganei spiegandogli che il matrimonio di Teresa con Odoardo avrebbe evitato le persecuzioni di quanti lo accusavano di aver sostenuto Napoleone: a sentir tali ragioni così vicine alla sua esperienza, Jacopo parte.
Egli cerca allora di distrarsi dall'amore per Teresa, viaggiando in molte importanti città dell'Italia: Bologna, Firenze e la Toscana, Milano, la Liguria fino a Ventimiglia, la Romagna e Ravenna con la tomba di Dante. Infine ritorna ai Colli Euganei e va a casa del Signor T. che in quel momento stava passeggiando con Odoardo e Teresa; vedendo Jacopo Teresa quasi sviene, ma i saluti sono freddi e asciutti. Gli eventi precipitano, finché Jacopo si suicida con un colpo di pugnale nella notte del 25 marzo 1799.

 

Sunto di alcune dell'epistole più significative:

[Il preludio] Già nella prima lettera spiccano i tratti fondamentali del romanzo: l’amor di patria, la presenza della madre, i temi dell’esilio e dei sepolcri. Da un lato la disperazione per la perdita della patria, dall’altro la ricerca nelle illusioni di una consolazione rintracciabile solo nella morte, il ricordo e il compianto dei «pochi uomini buoni». Sarà questo il dualismo predominante in tutta l’opera: la rassegnazione e la smania di cambiare lo stato precario delle cose.
[Teresa] La bellezza, divina, compare all’Ortis due settimane dopo il trasferimento sui Colli Euganei. La visione di Teresa rianima la vita del protagonista dopo la delusione politica e lo porta nel mondo dell’amore e della passione, un mondo «di festa», che riesce «ad addormentare in noi tristi mortali tutti i dolori» e che ridona la gioia.
[Napoleone e i patrioti] Abbiamo, in questa lettera, un esempio della volontà attiva dell’Ortis (e del Foscolo): polemizza con quei “patrioti” che speravano nello straniero, in Napoleone, l’arrivo della libertà e la valorizzazione della patria. Il Trattato di Campoformio lo conferma: il «Giovine Eroe nato di sangue italiano» non soccorrerà la patria come molti sperano, poiché «la natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria, e non l’ha»; sono gli Italiani stessi che devono conquistare la propria libertà (tema ripreso dal Manzoni).
[L’amore] Jacopo narra a Lorenzo di aver baciato Teresa: la gioia dell’amore ora è in lui così grande che tutto abbellisce: i fiori, gli uccelli, il vento, l’intera Natura sembra gioire assieme a lui. Si rivela universale armonia, che vive nei sentimenti più puri dell’amore. Sono solo Illusioni, gli rimprovera la parte razionale del suo animo, ma «intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore», sono la fonte di vita, la realtà superiore e infinita dell’uomo.
[La tempesta della passione] Venuto a contatto con l’amore, l’animo di Jacopo subisce un dolce sconvolgimento; la gioia e la disperazione si fondono dentro di esso: la gioia dell’amore e delle illusioni, e la disperazione nell’accettare la loro frivolezza. Il tumulto interiore che è descritto in questa lettera si riflette in una cupa tempesta della Natura, una corrispondenza che fa provare pace e serenità, ma che nello stesso tempo è rappresentazione di un burrone che attrae e sgomenta. È il burrone delle illusioni, dei sentimenti più belli; ma è anche il burrone della consapevolezza di tale inconsistenza e di questi fantasmi: è quindi di nuovo lo scontro tra l’animo più romantico e quello più razionale. E così ritornano anche i pensieri foscoliani sulla morte, sul sepolcro, sul compianto: «Quanto la natura è più bella tanto più vorrei vederla vestita a lutto. [...] Eppure mi conforta la speranza di essere compianto. [...] Le persone a noi care che ci sopravvivono, sono parte di noi». La risposta del Foscolo alla morte si trova in una caratteristica divina dei mortali, in una corrispondenza di amorosi sensi. Ma al di là della concezione dell’autore, già è evidente qui il desiderio del suicidio, di porre fine alla tempesta e di scivolare nel burrone, mentre la madre piange l’«infelice figliuolo».
[Il Parini] In questa lettera è evidente il carattere fondamentale di Jacopo, che è sostanzialmente una persona appassionata, che difende con ardore ed impulsività i propri ideali. L’incontro con il Parini, persona dalla moralità austera, pacata, sicura di sé, fa risaltare giusto quest’aspetto, in un confronto tra due personaggi che pone in contrasto la veneranda saggezza di uno con l’ardente giovinezza dell’altro. Le ossessioni e le speranze dell’Ortis vengono di volta in volta deluse dall’amico: l’aspirazione alla gloria, il battersi per la patria sono le basi della vita di Jacopo, ma – ricorda il Parini - «un giovane dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze e incauto d’ingegno, [...] sarà sempre o l’ordigno del fazioso, o la vittima del potente». E l’ottenere la libertà e l’indipendenza significa ribellioni, delitti, rivolte che spesso non portano a nulla: «i mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi», è la concezione materialistica del Foscolo (che riprende il Machiavelli), e la causa della fine di ogni speranza. Emerge infine il rispetto, e forse l’ammirazione, di chi ha una fede, di chi crede in una vita nell’al di là, di chi accetta le ingiustizie della vita terrena nella sicurezza di una vita spirituale: il Parini, «come s’ei lassù contemplasse tutte le sue speranze», trova conforto e speranza nella fede cristiana, che manca al materialismo dell’Ortis e del Foscolo.
[La lettera di Ventimiglia] Jacopo ha ormai deciso di compiere il suicidio: su indicazione della madre avrebbe dovuto emigrare in Francia, ma preferisce invece tornare e morire nella sua patria. La Natura, «solitaria e minacciosa» (una personificazione che verrà ripresa dal Leopardi nelle sue Operette Morali), è insensibile di fronte al dolore dei mortali. Ma come conciliare la politica con la morale? Anche gli antichi Romani nel loro desiderio di conquista distruggevano e portavano morte e devastazione – afferma rivolto all’Italia: «la terra non è che una foresta di belve». La visione è quella pessimistica del Foscolo, quella della Natura crudele e insensibile, dell’inevitabilità delle sofferenze e del dolore per conseguire la libertà; e agli uomini piace favoleggiare, crearsi degli «Dei protettori della debolezza» che regalino «premi futuri del pianto presente». Dove sta la virtù? Nella Compassione, nel sentimento di solidarietà che nasce dalla comune sofferenza degli uomini, la pietà per il vinto e soprattutto quella per gli estinti. E così l’uomo vivrà ancora nel ricordo, dopo la liberazione della morte.
[La visita alle tombe di Santa Croce] La morale del Foscolo evidente in questa lettera è anche il tema fondamentale dei Sepolcri: il culto del ricordo dei defunti, che vivono per sempre nella memoria degli uomini. Jacopo adora, nella chiesa di S. Croce in Firenze, le tombe di Galileo, di Machiavelli e Michelangelo: imponenti mausolei che nulla sono in confronto alla grandezza d’ingegno dei tre. Accenna poi al rapporto tra intellettuali e potere: i perseguitati nel presente saranno venerati dai posteri, dice, e i veri “grandi” sono quelli che non si lasciano guidare dai favori dei potenti - come il solitario Vittorio Alfieri.
[Io non so né perché venni al mondo...] Fra le lettere di Jacopo, Lorenzo Alderani trova una carta che riproduce un passo tradotto dal francese Blaise Pascal, il famoso moralista cristiano. È un modo del Foscolo di rappresentarci il suo pensiero circa la posizione e la funzione dell’Uomo nell’Universo. La visione agnostica pone l’uomo all’eterna ricerca di qualcosa che non potrà mai trovare, di una verità a tutti negata, ma da tutti desiderata. Nella vicenda dell’Ortis, questo passo può essere visto come un momento di “crisi esistenziale” a seguito della delusione amorosa, la quale invece lo porterà al suicidio.
[Addio alla vita] L’ultima lettera di Jacopo è indirizzata a Teresa. Ringrazia il fato, in allegoria la natura, che gli ha fatto conoscere Teresa, gli ha fatto provare le passioni dell’amore, lo slancio infinito dell’animo, al di là dei limiti della realtà. È un’assolutizzazione: tutto ciò che riguarda Teresa ha dell’assoluto, del divino e del sacro. Ma l’abbandono all’amore, alla passione, alla bellezza divina non può che terminare con la morte, e per raggiungere una gioia così nobile e suprema altro non si deve fare che spezzare la propria esistenza terrena e rompere il proprio contatto fisico con l’infelice destino.